INTERPRETAZIONE DE "LA CANZONA DI BACCO" (schema da fare per venerdì 18 ottobre)

  • Il testo è uno dei Canti carnascialeschi di Lorenzo e fu composto per il carnevale del 1490, dunque negli ultimi anni della vita dell'autore: si tratta di una canzone a ballo che celebra il "trionfo" del dio Bacco e della sua sposa Arianna, che aprono un corteo festoso su un carro seguiti da altri personaggi della mitologia classica legati alla loro storia (la canzone aveva probabilmente un accompagnamento musicale e doveva essere eseguita mentre per le strade di Firenze sfilavano i carri allegorici, tra il popolo in festa). Secondo il mito Bacco aveva raccolto Arianna sull'isola di Nasso dopo che questa era stata abbandonata da Teseo e ne aveva fatto la sua sposa, portandola con sé in cielo; tra gli altri personaggi compaiono il satiro Sileno, maestro di Bacco in gioventù, e Mida re della Frigia, che aveva ritrovato Sileno quando questo si era perso ubriaco nei boschi e lo aveva riportato al dio, ottenendo da lui il dono funesto di tramutare tutto in oro. I satiri e le ninfe appartengono anch'essi al "tiaso" dionisiaco, il corteo festoso di Bacco.
  • Il componimento celebra i piaceri terreni della vita come l'amore e il vino, invitando edonisticamente a godere di essi finché si è giovani e a non sprecare la vita nell'attesa incerta del domani: l'amore è rappresentato anzitutto dalla felice unione di Bacco e Arianna, ma anche dei satiri che tendono tranelli alle ninfe che, a loro volta, sono ben felici di concedersi a loro; il vino è raffigurato da Bacco stesso, ovviamente, e da Sileno che secondo la rappresentazione tradizionale era sempre grasso e ubriaco (il satiro è troppo vecchio per darsi all'amore, che classicamente è proprio dei giovani, quindi si consola con l'alcool). L'inno alla gioia di vivere ha il suo contrappunto nel re Mida, il quale al contrario è infelice perché tramuta tutto in oro e la sua avidità è stata punita dal dono di Bacco, anche secondo la visione della poesia cortese per cui chi è nobile d'animo deve rifuggire l'avarizia. L'invito ad essere felici rientra nella visione tipica del carnevale, la festa popolare in cui ci si dimentica delle avversità della vita e ci si abbandona alla gioia e al divertimento, anche se solo per un giorno (talvolta con un rovesciamento dei ruoli, per cui chi normalmente ubbidisce può comandare e viceversa, anche se qui questo aspetto pare del tutto assente).

  • Il testo riflette la stessa prospettiva mondana ed umanistica di altre poesie quattrocentesche, a cominciare dalla ballata delle rose di Poliziano (► TESTO: I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino), anche se qui è presente una leggera velatura malinconica dovuta all'incertezza del futuro e forse influenzata dal fatto che l'autore era già malato e alla fine della sua vita: l'invito a godere della giovinezza e a non "pascersi" del domani, poiché il tempo fugge e porta tutto con sé, deriva ovviamente da una lunga tradizione letteraria ed è sufficiente citare solo il carme di Orazio (Carm., I, 11) in cui è presente il richiamo del carpe diem, con la raccomandazione di non credere troppo al giorno che verrà (Dum loquimur, fugerit invida / aetas: carpe diem, quam minimum credula postero: "Mentre parliamo, ecco, il tempo invidioso di noi è già fuggito: approfitta di questo giorno, senza confidare troppo in quello che verrà domani").

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